VALONA — Dall’esordio con la Lazio alla panchina del Flamurtari Valona, Andrea Agostinelli ha attraversato mezzo secolo di calcio italiano e internazionale. Lo incontriamo nella sua nuova casa calcistica, pronto per una nuova sfida.
Mister Agostinelli, partiamo dall’inizio: nato ad Ancona, ma da sempre con il cuore biancoceleste, che emozione fu per un giovane laziale esordire in Serie A con la maglia della Lazio nel 1975?
«Un’emozione unica. Avevo appena 18 anni e trovarmi a Perugia con la maglia della Lazio fu come toccare il cielo con un dito. Era un calcio diverso, più ruvido ma anche più romantico. Io, cresciuto negli Allievi della Lazio, tifoso laziale dalla nascita, mi ritrovavo a realizzare il sogno di ogni ragazzino della Capitale. Indimenticabile.»
Dopo la tragedia di Re Cecconi, hai ereditato un ruolo delicato…
«Sì, fu un momento durissimo per tutta la Lazio e per il calcio italiano. Io cercai di onorare quella maglia e quel ruolo con rispetto e dedizione. Luís Vinício fu fondamentale per la mia crescita: mi diede fiducia in un periodo complicato.»
Una carriera lunga, tra Lazio, Napoli, Atalanta, Avellino, Genova…
«Sì, ho avuto la fortuna di giocare in piazze importanti e con allenatori di grande spessore. Ogni esperienza mi ha lasciato qualcosa: Napoli con Vinício, l’Atalanta con i suoi tifosi caldi, l’Avellino dove il calcio era una religione, Genova con le sue passioni forti. Ho visto il calcio cambiare stagione dopo stagione.»
Anche da allenatore hai girato molto, in Italia e all’estero. Qual è stata la panchina più difficile?
«Probabilmente Napoli, nell’anno del fallimento, con Naldi presidente, poco prima dell’arrivo di De Laurentiis. Anche a Piacenza, in Serie A, non fu semplice: partii dall’inizio della stagione, con una squadra che lottava per salvarsi e un ambiente carico di aspettative. Ogni esperienza però mi ha lasciato qualcosa, persino nelle difficoltà.»
Oggi sei al Flamurtari Valona. Cosa ti ha spinto a questa nuova sfida?
«La passione. Avrei potuto scegliere di restare dietro una scrivania, ma il calcio è la mia vita e il campo mi manca sempre. Il Flamurtari è una società storica che vuole tornare in alto. Sono qui per dare il mio contributo, trasmettere valori e costruire qualcosa. Il calcio non ha confini, e nemmeno le emozioni.»
Guardando indietro: più orgoglio o più rimpianti?
«Tanto orgoglio. Il 19 ottobre di quest’anno festeggerò i 50 anni dal mio esordio in Serie A con la Lazio a Perugia. In campo ho avuto il privilegio di affrontare campioni come Pelé, Beckenbauer, Cruijff, Maradona, Platini, Neeskens, Blokhin e tanti altri. Da allenatore, ho incontrato tutti i migliori giocatori del campionato italiano. In pratica ho attraversato tre generazioni di calcio. Ma quello che mi rende più orgoglioso è che, dopo tanti anni, vengo ancora considerato una brava persona e continuo a far parte di questo mondo, sempre più difficile. Non è scontato, nemmeno per un medio giocatore di Serie A come me. Credo che per restare così a lungo servano passione, credibilità e coerenza.»
Cosa sogna ancora Andrea Agostinelli?
«Il sogno è sempre lo stesso: lasciare un segno, aiutare i giovani a crescere e magari riportare il Flamurtari dove merita. Fino a quando avrò entusiasmo, resterò in campo.»
Intervista a cura di Irene Taurino