Nel panorama medico, la nefrologia gioca un ruolo cruciale nella gestione delle patologie renali, dall’insufficienza renale cronica alle nuove frontiere della dialisi. Il Dott. Antonio Paone, nefrologo e figura di spicco della nefrologia italiana, condivide con noi la sua esperienza, ripercorrendo i momenti salienti della sua carriera e le innovazioni che hanno trasformato la disciplina. Dall’istituzione del reparto di Nefrologia e Dialisi all’Ospedale Sandro Pertini fino alle recenti scoperte farmacologiche, esploriamo con lui l’evoluzione della cura delle malattie renali e le sfide future della ricerca.
Dott. Paone, può raccontare cosa l’ha spinta a specializzarsi in nefrologia e quali sono stati i momenti più significativi della sua carriera?
Ho frequentato fin dal quarto anno di medicina il reparto di Nefrologia di interesse Chirurgico presso la Clinica Urologica del Policlinico Umberto I dove ho potuto apprendere i principi fondamentali dell’emodialisi, peraltro ancora in fase pioneristica.
In quegli anni il campo delle scienze nefrologiche era in pieno sviluppo, era molto stimolante ed interessante anche l’aspetto clinico delle malattie renali che già da allora, vedeva la medicina italiana estremamente “colta” e propositiva in questo settore.
Il momento più significativo della mia carriera è coinciso con l’apertura dell’Ospedale Sandro Pertini, avvenuta nel 1991, dove ho chiesto di essere trasferito. In quel momento non era ancora prevista una U.O.C di Nefrologia e neppure alcuna attività di tipo nefrologica. Fu così che la mia passione verso la nefrologia ed in particolare per i trattamenti dialitici, mi ha portato ad occuparmi in prima persona di queste attività all’interno di un ospedale appena istituito.
Durante la sua direzione al Sandro Pertini, quali innovazioni o cambiamenti ha introdotto nel reparto di Nefrologia, Dialisi e Litotrissia?
Durante tale periodo, con l’aiuto di una valida infermiera, ho iniziato personalmente a trattare i pazienti affetti da insufficienza renale acuta ricoverati in area critica.
Giorno dopo giorno è emersa la necessità di dotare l’ospedale di un servizio di Nefrologia, sia per il notevole numero di pazienti che già allora afferivano al P.S. e che necessitavano di cure urgenti e indifferibili, sia per la difficoltà di poterli trasferire altrove.
Con queste premesse, l’ospedale Sandro Pertini si è dotato di una attività nefrologica via via sempre più complessa e strutturata in modo stabile.
Al tempo, l’80 % dei posti disponibili per i pazienti emodializzati erano presenti nelle case di cura private, ed il rimanente 20% nelle strutture pubbliche, ragione per la quale era indispensabile dare una risposta a situazioni emergenziali indifferibili. Per questo motivo la Regione Lazio aveva destinato fondi specifici per l’apertura di servizi di emodialisi nelle strutture pubbliche del Lazio.
In quel periodo facevo parte della Commissione di Vigilanza per l’Emodialisi del Lazio, che aveva anche il compito di dare il proprio parere per la destinazione dei fondi.
In quella circostanza, nel 1994, fu assegnato un finanziamento specifico all’ospedale Pertini ed appena un anno dopo veniva realizzato il centro di Emodialisi del Pertini.
Successivamente, la Regione, insieme alla Commissione di Vigilanza, definì i criteri logistici e funzionali di tutti i centri del Lazio ed individuò per ogni ASL ,un Centro di riferimento Regionale dotato della tecnologia, del personale necessario e di autonomi posti di degenza nefrologica al fine di dare risposta a specifici compiti assistenziali.
La nefrologia del Pertini fu individuata come Centro di Riferimento Regionale, in quanto era dotata di tutti i requisiti necessari ed in più disponeva di due posti di emodialisi, nell’area di degenza dedicati ai pazienti acuti.
Successivamente, negli anni in cui ho svolto le funzioni di Direttore della UOC, ho introdotto le metodiche dialitiche che più rispondevano alle necessità di cura dei pazienti affetti dalla malattia renale e che erano il risultato delle più recenti scoperte tecnologiche.
Inoltre ho particolarmente curato che le attività nefrologiche sia dialitiche sia cliniche, che rispondessero alle più recenti linee guida e ho garantito che tutto il personale fosse sempre aggiornato professionalmente, al fine di garantire le più recenti cure ai pazienti nefropatici. Ho coordinato anche diverse linee di attività di ricerca sia a livello nazionale che internazionale.
Una nota di orgoglio ed un ringraziamento va a tutti i miei collaboratori per il fatto che da molti anni la nefrologia del Pertini viene valutata dal sistema “PREVALE” come “molto alta”.
La malattia renale policistica autosomica dominante è stata al centro di alcune sue pubblicazioni. Quali progressi sono stati fatti nella comprensione e nel trattamento di questa patologia?
La malattia renale policistica autosomica dominante rappresenta la più importante malattia genetica in campo nefrologico. Il nefrologo ha sempre avuto nozione della progressione della malattia che può condurre il paziente alla necessità del trattamento emodialitico intorno ai 55-60 anni e che spesso coinvolge molti soggetti all’interno della stessa famiglia con i pesanti aspetti emotivi che ne conseguono.
Ma fino a pochi anni fa, nonostante il nefrologo conoscesse gli effetti di questa malattia, scarsa era la conoscenza dei multiformi aspetti clinici che caratterizzano la malattia.
Il nostro centro è stato promotore di un importante studio multicentrico che ha coinvolto i centri di nefrologia dell’Italia centrale (ALaMMU), che ha posto le basi per la conoscenza dei principali aspetti epidemiologici e delle caratteristiche cliniche della malattia e che ha contribuito in seguito alla creazione a livello nazionale del Registro del Rene Policistico sotto il patrocinio della SIN.
Il nostro centro, inoltre, è stato tra i primi in Italia ad utilizzare il farmaco Tolvaptan, il primo farmaco disponibile in grado di rallentare la progressione della malattia e che tuttora molti pazienti, seguiti presso il mio centro, assumono.
Attualmente tutti i pazienti affetti da questa malattia o i familiari potenzialmente affetti che giungono nel mio centro vengono seguiti presso un ambulatorio dedicato, effettuano esami strumentali che ne permettono la corretta diagnosi e definizione, e soprattutto, vengono sottoposti all’indagine genetica con i più moderni strumenti di diagnostica grazie alla collaborazione con i maggiori centri nazionali che si dedicano a questa malattia.
Come vede l’evoluzione delle tecniche di dialisi e quali ritiene siano le sfide principali per i pazienti che ne hanno bisogno?
Oggi la tecnologia ha permesso di realizzare metodiche dialitiche evolute, ben consolidate, che consentono di andare incontro, per quanto possibile, alle necessità clinico-terapeutiche dei pazienti, ma anche per consentire una migliore qualità di vita.
Per questo motivo, da molti anni, nel nostro reparto si effettua un “turno” di emodialisi serale-notturno, privilegiando soprattutto pazienti con necessità lavorative.
Inoltre sono stati fatti notevoli progressi, anche grazie alla telemedicina per la dialisi domiciliare (sia emodialisi che dialisi peritoneale).
Per il futuro è auspicabile far si che l’emodialisi sia effettuata in modalità e tempi più fisiologici mimando, nel modo più possibile, la funzione renale. Sarebbe inoltre auspicabile un incremento del numero di trapianti di rene rispetto al quale in Italia ci sono ancora notevoli margini di miglioramento.
Dopo il pensionamento, ha continuato a essere coinvolto in attività mediche o di ricerca? Se si, in che modo?
Dopo il pensionamento sono rimasto, in qualità di consulente, in costante contatto con il mio reparto dove svolgo la mia attività di ricerca e tutor per la formazione del personale, in particolare quello più giovane che rappresenta il futuro della nefrologia.
I miei ambiti di ricerca attualmente sono rivolti all’ottimizzazione delle metodiche dialitiche, in particolare in area critica dove i pazienti necessitano di cure e attenzioni in modo continuo, in cui la componente nefrologica delle cure spesso è fondamentale per la ripresa del paziente.
Nel campo della dialisi, inoltre, il mio reparto partecipa ad un importante trial internazionale che valuterà l’impatto di un nuovo farmaco, un anticorpo monoclonale (clazakizumab) in grado di inibire l’interleuchina 6 e quindi l’infiammazione nei pazienti in trattamento emodialitico che, come noto, rappresenta uno dei principali fattori di morbidità e mortalità cardiovascolare.
Un altro campo di applicazione della ricerca nella nostra UO è quello della nefrocardiologia, un campo in cui ho sempre posto molta attenzione al punto di instituire un ambulatorio dedicato, in cui i nefrologi ed i cardiologi si trovano insieme a gestire i pazienti nefropatici affetti da scompenso cardiaco. Questa attività è stata anche oggetto di studio e di pubblicazioni in ambito nazionale.
Nel mio reparto si svolgono periodicamente, a cadenza regolare, incontri formativi in cui sono coinvolti anche specialisti di altre materie perché ho sempre ritenuto che la multidisciplinarietà sia fondamentale nella gestione del paziente in particolare quello ricoverato per patologie acute. In ambito nefrologico sono numerose le patologie sistemiche in grado di coinvolgere il rene, tra queste le malattie reumatologiche, ematologiche ed in generale malattie di competenza internistica.
Molti medici in pensione scelgono di proseguire l’attività professionale o di dedicarsi al volontariato. Qual è la sua opinione su questo fenomeno e quali consigli darebbe ai colleghi prossimi al pensionamento?
Ho sempre pensato di lavorare fino all’ultimo giorno possibile, cosa non prevista in Italia nemmeno su base volontaria e nonostante, almeno in questo momento, ci sia una grave carenza di medici nel nostro Paese. Ho sempre lavorato nel settore pubblico e pertanto, pur essendo possibile e facile, rifuggo l’idea di lavorare per il settore privato come molti colleghi che diventano “turnisti” nei centri di Emodialisi privati.
Per quanto riguarda il volontariato per me avrebbe valore se praticato in realtà nelle quali c’è bisogno di un valore aggiunto.
Guardando al futuro della nefrologia, quali sono le aree di ricerca o le innovazioni che ritiene più promettenti per migliorare la cura dei pazienti?
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una vera rivoluzione in campo nefrologico nella cura della malattia renale cronica che, ricordo, è una delle più importanti malattie croniche e che a breve rappresenterà la quarta causa di mortalità, in particolare nei paesi ad alto reddito.
Dopo molti anni in cui la nostra principale possibilità di cura per il paziente nefropatico, nelle fasi avanzate della malattia, era il trattamento emodialitico, oggi si dispone di molti farmaci in grado di contrastare le forme di nefropatia secondarie a malattie immunomediate, e soprattutto di farmaci capaci di rallentare la progressione della nefropatia (vedi i recenti farmaci gliflozine, inibitori dell’SGLT2) in grado anche di incidere sulle complicanze cardiovascolari della malattia renale che, da sempre, hanno rappresentato la principale causa di mortalità del paziente nefropatico.
Ritengo che il compito della nefrologia nel futuro sarà non solo quello di individuare altri farmaci in grado di ritardare l’ingresso in dialisi ma anche, per esempio, di sviluppare settori come l’Onco nefrologia che ha il compito principale di garantire l’utilizzo di farmaci per la cura delle neoplasie (farmaci che sappiamo essere spesso dannosi per il rene) oppure di sviluppare attività come il sequenziamento genico che rappresenterà la base per la cura delle malattie geneticamente determinate.
Il futuro della nefrologia non si baserà soltanto sulla capacità di individuare precocemente il paziente nefropatico ma saranno necessari ed indispensabili progetti di sanità pubblica che siano in grado di garantire non solo assistenza ma anche campagne di informazione e prevenzione, in grado di correggere gli stili di vita errati che spesso conducono alla comparsa delle malattie renali (vedi l’ipertensione arteriosa, l’obesità, il diabete). A questo si accompagnerà la ricerca rivolta all’intelligenza artificiale che rappresenterà un potente ausilio nella diagnostica e nell’individuare percorsi terapeutici ottimali.
Infine, quali sono le passioni o gli interessi che sta coltivando in questa nuova fase della sua vita?
Attualmente svolgo attività di consulenza a titolo gratuito presso il “mio” reparto e presso il Ministero della Salute ma mi piacerebbe dedicarmi a qualcosa di diverso anche in virtù dei miei precedenti ruoli di Direttore Sanitario Aziendale e Direttore Generale di ASL.
Veronica Passaretti